Vita di Luciano De Crescenzo scritta da lui medesimo by Luciano De Crescenzo

Vita di Luciano De Crescenzo scritta da lui medesimo by Luciano De Crescenzo

autore:Luciano De Crescenzo
La lingua: ita
Format: azw3, mobi, epub
editore: Mondadori
pubblicato: 1989-06-14T22:00:00+00:00


LA FAME

Un bel giorno anche le mele finirono e per noi cominciò il periodo della fame. Ci mandavano a letto digiuni, con la sola promessa che il giorno dopo avremmo mangiato a sazietà «Dormire è uguale a mangiare!» sentenziava papà.

«E adesso dormite!» Facile a dirsi, non altrettanto a tradurlo in pratica.

Per quanti sforzi facessi, non c’era verso di prendere sonno.

Andavo a letto alle sei, non appena veniva buio, e restavo lì, sdraiato, immobile, per ore e ore, sempre a pensare che cosa mi sarebbe piaciuto mangiare. E anche quando mi addormentavo la fame continuava a trapanarmi il cervello: sognavo tavole imbandite dietro cancelli sbarrati, piatti di Spaghetti che sparivano nel nulla non appena vi affondavo dentro la forchetta, centinaia di prosciutti appesi al soffitto e non una scala per poterli arraffare.

Oltre alla forma e al colore, ero capace di sognare anche il sapore di ogni singola pietanza e perfino il rumore del pane croccante appena Uscito dal forno.

Nel silenzio della notte, rotto solo da cupi rimbombi di artiglierie lontane, c’era sempre qualcuno che cominciava a parlare di cibo.

«te li ricordi i rigatoni?» «Ah sì, i rigatoni! Me li ero proprio dimenticati. noi a casa li chiamavamo i paccheri.; «Non dire sciocchezze: i paccheri sono una cosa e i rigatoni sono un’altra. I paccheri sono larghi e schiacciati mentre i rigatoni sono tondi e rigati.

E lo sai perché i rigatoni sono rigati? Perché così il ragù s’impizza dentro ai solchi delle righe e non scivola via.» «A me mammà i rigatoni me li faceva con la ricotta.

«E te lo ricordi il gateau di patate?» «Il gateau di patate?

E come se me lo ricordo!… Con la mozzarella… i pezzettini di salame… il pane grattugiato Com’era buono il gateau di patate!» Passavamo il tempo a dire: «Io adesso mi mangerei questo, no, io mi mangerei quest’altro!». Il bello era che qualche volta finivamo anche col litigare su che cosa avremmo voluto mangiare.

«La pasta e fagioli non la voglio» dichiarava zio Alberto, come se davvero qualcuno gliela stesse per offrire. «Se proprio debbo desiderare qualcosa, e allora fatemi la cortesia di farmi sognare due fusilli alla genovese.» «E tu vuoi mettere i fusilli alla genovese con la pasta e fagioli?» replicava papà scandalizzato.

«Ma fammi il piacere: la pasta e fagioli è la regina della tavola!» «Tutto dipende da come si fa la genovese: voi di Santa Lucia, tanto per fare un esempio, non la sapete fare.» «Ecco qua: adesso arrivano quelli del corso Garibaldi a insegnare a noi come si fa la genovese! Ma nun dicere fessarìe!»

«Proprio così,» insisteva zio Alberto «voi non la sapete fare!

Innanzitutto a Santa Lucia usate il il lacerto, mentre al corSo Garibaldi adoperiamo ‘o gambunciello e questa già sarebbe una prima differenza, poi noi le cipolle le tagliamO a fette e voi le mettete tutte intere…» «La cipolla non deve conoscere il ferro: se vede la lama si avvilisce!» Sentenziava papà.

«E invece va tagliata,- altrimenti non si sposa con gli odori,» ribatteva zio Alberto.

«E voi quali odori mettete?» chiedeva papà con tono inquisitorio.



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